Non lo conoscevo bene, ma l'immagine che la televisione e i giornali davano di Gianluca Pessotto era quella di una persona intelligente, sensibile e educata (quest'ultima dote rara in un mondo del calcio sempre più caciarone), con lo sguardo rivolto anche fuori dal mondo del pallone.
Come una persona di questo tipo (o anche le altre) sia potuta arrivare a tentare di togliersi la vita è sempre per me fonte di grossi pensieri.
Il fatto che ci voglia un coraggio estremo per compiere un atto di grande vigliaccheria già crea in me reazioni contrastanti. In ogni racconto di un suicidio, poi, ci sono quei piccoli particolari che stridono, che fanno capire come uno non sia mai sicuro al cento per cento di farcela (o di volercela fare), tipo la macchina posteggiata nel garage sotterraneo invece che in cortile (paura di rovinarla cadendoci sopra o paura che cadendoci sopra l'impatto venga attutito?) o l'essersi portato sul tetto il cellulare e le chiavi della macchina e averli abbandonati lì.
Non so se a tutti capiti almeno una volta nella vita di pensare di volersi suicidare, a me è successo. Ero in macchina da solo, venivo da un periodo negativo, avevo appena avuto un grosso litigio con una persona importante per me e la soluzione ad alcuni problemi non sembrava a portata di mano (almeno non nel modo che avrei desiderato).
Ricordo chiaramente, con l'acceleratore premuto, di aver pensato che se alla curva successiva non avessi girato il volante, tutto si sarebbe risolto semplicemente.
Ma poi una serie incredibile di pensieri, alcuni belli altri meno, mi riportò su questa terra. O forse solamente non ebbi il coraggio di imboccare un tunnel senza uscita. La cosa che mi ha colpito (allora come adesso) è che la spinta maggiore è arrivata proprio dai pensieri meno belli, dai problemi che avrei creato a chi mi vuole bene, non dalle gioie che la vita poteva ancora riservarmi.
Banale a dirsi, sono contento di aver continuato il viaggio su quella strada.
In bocca al lupo, Gianluca.
1 giorno fa
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