giovedì, marzo 06, 2008

Quando lanciavo i dadi da 10

Apprendo dal Corriere che è morto Gary Gigax, uno dei due creatori di “Dungeons&Dragons”, il più famoso gioco di ruolo di tutti i tempi.
La scatola base entrò in casa mia un Natale all’università, regalo (interessato?) di un compagno di studi e ne fui subito affascinato, colpito dall’esistenza di un gioco che essenzialmente sta tutto nella tua testa e dalla scoperta dei dadi a n facce.
Ho sempre fatto il master, secondo Attilio in maniera troppo buona (avrebbe dovuto vedere quello con cui giocava mio cugino…). L’unica volta che ho tenuto un personaggio sono stato assolutamente ingestibile: una sacerdotessa di un culto che accettava e promuoveva la ricerca del piacere fisico, per cui, ogni volta che c’era da ottenere qualcosa (un oggetto, un’arma, un’informazione) facevo il puttanone (e via lunghe discussioni sulle modifiche ai dati dovute alle mie mirabolanti capacità amatorie in grado di sciogliere la resistenza di ogni uomo, donna o semi-umano).
Ormai è tanto che non gioco più, vista la difficoltà di riuscire a garantire un appuntamento regolare con un numero adeguato di persone (in questo, i boardgame sono molto più gestibili, visto che i partecipanti possono variare di volta in volta), ma non posso dimenticare alcune scene assolutamente demenziali.

La prima è stata su un treno. Io e i miei compagni di avventura rientravamo da un week-end al mare. Eravamo in quattro e ci eravamo accomodati in uno scompartimento dove avevamo trovato una coppia di signori.
“Buongiorno”.
“Buongiorno”.
Il treno riparte dalla stazione e Lele, così di punto in bianco, inizia a parlarmi.
“Sai, Piero, ho scoperto a cosa servono le fiaschette di olio sacro. Le lanci addosso ai non-morti e dai loro fuoco.”
Ho sentito una ventata di gelo provenire dai due signori, oggettivamente molto spaventati. Sono scesi tre fermate dopo, ma non hanno proferito verbo e non hanno mai avuto il coraggio di guardare nella nostra direzione. E, tutto sommato, li posso anche capire.

La seconda, durante una serata. Il gruppo di personaggi era stato assalito da un’orda di arpie e combatteva disperatamente. Il nano di D. era morto (una costante di quel periodo) e neanche gli altri erano messi benissimo. A. era riuscito a uccidere il suo avversario e giunto il suo nuovo turno di agire uscì con un perentorio “E ora mi attacco all’uccello di B.!” (per la cronaca, questa frase venne battuta solo sei anni dopo, durante una partita di Catan, dall’uscita “Prendete me! Prendete me! Sono una donna di sole pecore!”).

Ne avrei altre da raccontare, ma sono più legate al contesto in cui avvenivano e perderebbero molto della loro comicità.

Spesso mi torna la voglia di iniziare una nuova avventura, con un piccolo gruppo di amici e un’ambientazione di mia invenzione. Ma, un po’ tutte le nuove regole da imparare, un po’ la mancanza di tempo, un po’ la pigrizia, non lo faccio mai.
Magari, quando saranno più grandi, potrei costringere le nipoti…

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1 commenti:

Anonimo ha detto...

Ricordo ambedue le scene.
Ricordo l'istante di silenzio dopo che vennero proferite le due battute.
Come dicono le cronache "silenzio assordante" :-)

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