domenica, dicembre 02, 2007

Aigor

Guardando su Repubblica, ho scoperto che 25 anni fa ci lasciava Marty Feldman, un attore la cui faccia era veramente uno spettacolo (oltre alla sua bravura).
La scena che tutti un po' ricordano è l'arrivo di Gene Wilder in Frankestein Junior, anche se estrarre una scena da quel film è una cosa difficile.
La riporto anch'io, come ricordo.

The Heartbreak Kid

E già che ci sono, vi parlo anche del film che ho visto settimana scorsa, la nuova commedia dei fratelli Farrelly, gli stessi di Tutti pazzi per Mary.
La presenza di Ben Stiller, anche allora protagonista, non basta però a tenere su un film che è sì carino, ma non graffia.
Come spesso accade, il problema potrebbe essere nel come è stato presentato.
Il film non è centrato sui malintesi e le vicissitudini del protagonista durante la luna di miele di un matrimonio fatto di corsa, in cui la moglie si rivela diversa da come sembrava prima del fatidico sì (anche se quasi tutte le scene migliori sono legate a ciò).
Si tratta invece di una commedia agro-dolce sul trovare la persona giusta, riconoscerla, essere sincero nel rapporto e, dato tutto ciò, sul perchè del matrimonio.
Il ritmo, pertanto, non è arrembante come Tutti pazzi per Mary, non ci sono battute graffianti o scene esagerate (tipo quella in cui Ben Stiller si masturbava per non andare in giro con un’arma carica, con tutto quello che ne seguiva).
Il film insomma scorre via senza acuti, con qualche risata e qualche riflessione nanche troppo profonda.
Del trittico di commedie americane su come mettere su famiglia in maniera non convenzionale (gli altri sono Molto Incinta e Vi dichiaro marito e marito) è quello che mi è piaciuto di meno.
Voto: 6-.

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Quando ai tempi vidi “The Blair Witch Project” pensai che si trattava di un film in cui gli autori avevano una precisa idea di come doveva finire (un Signor Finale, che da solo dava un senso al film, altrimenti deludente) al quale però non sapevano come arrivarci (gente persa nel bosco? Been there, done that).
La stessa impressione l’ho avuta con questo film, tratto da un racconto (che non ho letto, ma recupererò) di Philip K. Dick.
Sono entrato ben conscio che il rischio di porcata fosse alto, e fino a poco dalla fine ero convinto di non essermi sbagliato.
La storia ruota intorno a Nicolas Cage, un tizio che ha il potere di vedere quello che gli succederà nell’immediato futuro (due minuti) e questo suo potere diventa il punto chiave per consentire all’FBI di cercare di sventare un attentato nucleare sul suolo statunitense. Dato che lui non vuole diventare una cavia di esperimenti per capire come utilizzare i suoi poteri, rifiuta di collaborare. Inizia quindi un inseguimento a tre (lui, l’FBI e gli attentatori) che si svolge secondo i classici canoni dei film d’azione (l’eroe sempre un passo avanti degli inseguitori, l’amata presa in ostaggio e quant’altro).
Insomma, sembrerebbe che non ci fosse niente da aggiungere ad un film che si colloca vicino a Minority Report nell’idea di fondo, senza averne però l’impatto visivo (effetti speciali ridotti al minimo indispensabile e anche un po’ grossolani).
Però...
A un certo punto, come spesso succede, è nato in me il dubbio che le cose non stessero come erano dipinte, ma che ci fosse un altro livello, qualcosa che mischiava le carte in tavola. E avevo ragione, anche se, per essere onesto, ho pensato ad un’altra cosa (che comunque non mi convinceva troppo, visto che di Dick si parla).
Effettivamente la chiave di tutto era stata data subito, in maniera inequivocabile, ovviamente in un momento in cui non se ne poteva capire la portata.
Insomma, un finale che ha un suo perchè, ma che purtroppo arriva dopo un film che invece non sa darsi una cifra. Non è un film di fantascienza pura (ambientato ai giorni nostri), non è una storia d’amore (anche se alcuni eventi ci girano intorno), non è un thriller (la minaccia di attentato nucleare non riesce mai a creare la giusta tensione), non è una commedia (anche se Nicolas Cage gigioneggia più volte). Insomma, per tutto il film, non si capisce dove si vuole andare a parare (mettiamoci pure una citazione inutile a Arancia Meccanica e il quadro è completo), finchè non arriva il finale.
Lì tutto assume un senso e rivaluta il film. Ovvio, non lo rende un capolavoro, ma sicuramente un film discreto.
Voto: 6.5 (5 al film, 8 al finale).

Domenica mattina

Sono qui in casa e riesco finalmente a dedicarmi a piccole vaccate che nel semi-isolamento slovacco mi risultano difficili.
Ieri visita a SteGal, che finalmente ha fatto l'operazione per la sua ernia. L'ho visto abbastanza bene, anche se non so come supererà il trauma della rottura del decoder di Sky.

Stavo anche per comprarmi un nuovo portatile, per sostituire per i fini privati, quello dell'ufficio. Ero lì, moralmente pronto, la carta di credito carica (era il primo del mese). Ce n'erano due, diversi per prezzo ben 300 euri. Ho chiesto al tizio con la maglietta della marca dei due PC: "Scusa, ma questi due PC in cosa sono diversi?".
"Piacerebbe saperlo anche a me."
Il portatile lo compro un'altra volta. E probabilmente in un altro posto.

Roby mi fa: "Mi devi aiutare a comprare le scarpe che mi parlano." Ovviamente, all'inizio non ho capito nulla di quello che intendeva (in precedenza la frase "qualcosa che mi parla" ha sempre significato "Mi piace talmente, che è come se mi dicesse qualcosa"). Poi ho realizzato che parlava dell'accessorio dell'iPod che si mette nelle scarpe e ti dice quanto corri, quanto bruci e altre cose accessorie.
"Ah! Quella cosa che ti ho fatto vedere allo shop dell'Oringen e tu non mi hai minimamente ascoltato!?!" "Ma davvero? Anche Attilio ha detto che me ne avevi parlato".
E' bello, col tempo, avere la conferma di avere sempre avuto ragione...

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